sabato 10 ottobre 2009

Una fiaba popolare russa sul tema della Metamorfosi



Ho trovato questa antica fiaba russa che, pur non provenendo dalla cultura celtica, nell'ultima parte ricorda molto da vicino il mito in cui Ceridwen insegue Gwion, in una continua succesione di metamorfosi, in una sfida fra alunno e maestro. 
Inoltre, se qualcuno di voi ha letto "Il mulino dei dodici corvi", si renderà conto quanto questa fiaba, o forse una sua variante proveniente dal nord della Boemia, abbia ispirato Otfried Preussler, l'autore di quel meraviglioso romanzo, di cui una volta o l'altra farò una recensione.
Ve la racconto qui, davanti al nostro Vecchio Focolare.
E' tratta da "Antiche fiabe russe" (Giulio Einaudi editore), una raccolta di fiabe compilata dal 1855 al 1864 dal linguista Aleksandr Nicolaevic Afanasjev e tradotte in questo volume da Gigliola Venturi. 
Ho cercato di riassumerla un po', ma la parte riguardante le metamorfosi l'ho lasciata quasi
così com'era: era troppo bella per essere amputata qua e là!
Ho voluto mantenere anche il modo di raccontare ricco di espressioni colloquiali, in cui il tempo presente si mischia con il passato remoto, e certe frasi tipiche come "da non immaginare, nè indovinare, nè con la penna raccontare" che ho trovato più volte in questo volume. 
Da notare anche come la metamorfosi del protagonista avviene sempre
"contro l'umida terra", a mostrare che anche nelle fiabe popolari,
come nell'Arte Magica, l'elemento Terra è quello che per eccellenza
trasmuta, rielabora e trasforma.

L'Arte Magica

C'era una volta una vecchia povera e misera. Aveva un figlio che
voleva avviare un'arte che gli permettesse, pur non lavorando, di
mangiare e bere a volontà, e di andare in giro ben messo.
A chiunque chiedesse, tutti scoppiavano a ridere: "Un'arte simile non
la troverai mai!"
Ma la vecchia vendette la sua piccola isba e disse al figlio:
"Preparati, che andiamo a cercare un guadagno facile!". E così partirono. 
Fosse vicino, fosse lontano, arrivarono ad una tomba. La vecchia,
stracca dal camminare, si sedette e dalla stanchezza diede un lamento:
"Oh!". D'improvviso ecco sbucar fuori un vecchio che chiede: "Cosa
vuoi, che t'occorre? Io sono Oh!"
Per quanto la vecchia si scusasse, non riuscì a liberarsi del
misterioso figuro, e dovette alla fine spiegargli il motivo del loro
viaggio.
"Dàllo a me il tuo figliolo, lo ingegnerò io. - disse Oh - A un patto
però: torna qui fra sette anni precisi, e io te lo mostrerò. Se lo
riconoscerai pigliatelo pure, non ti chiederò un soldo per
l'insegnamento. Ma se per tre volte non lo riconoscerai, resterà
sempre con me!"
Passarono sette anni, e la vecchia si recò alla tomba. Non appena ebbe detto "Oh!" si vide dinanzi il vecchio. 
"Batjuska, sono qui per il mio figliolo" disse la vecchia. Oh mandò un fischio possente, e d'improvviso volarono dodici fringuelli, si posarono a terra e comiciarono a gorgheggiare. 
"Su vecchia, se vuoi tuo figlio riconoscilo e prenditelo!" disse Oh.
Ma la vecchia pianse, perchè non seppe riconoscere suo figlio. Disse
Oh: "Tutti questi sono uomini, e non fringuelli: tutti loro, come te,
cercavano un guadagno facile e son rimasti da me in eterno, perchè i
loro genitori non seppero riconoscerli. Adesso torna pure fra tre
anni."
Dopo tre anni la vecchia tornò alla tomba, e al posto dei fringuelli
Oh le mostrò dodici colombi.
E anche questa volta la vecchia non seppe riconoscere il suo figliolo.
Disse Oh: "Fra tre anni avrai la tua ultima occasione: se non lo
riconoscerai neanche allora, di' pure addio a tuo figlio!"
Dopo tre anni la vecchia va per l'ultima volta a cercare il figlio.
E cosa ti vede: vicino a un'osteria è legato un cavallo a uno steccato, 
che le parla con voce umana: "Salute mammina! Non stupirti, sono tuo figlio! Il padrone è venuto con me all'osteria, e ora sta lì a far baldoria. Quando verrai alla tomba vedrai dodici stalloni, uguali di statura, grossezza e pelame: conta sette da destra, e quello sarò io!" 
Così, arrivata alla tomba, la vecchia riuscì a riconoscere il figlio,
e per quanto Oh si fosse indispettito dovette lasciarli andar via
insieme.
"Ora mammina, io posso tramutarmi in quello che mi pare. Puoi vendermi come stallone a signori e mercanti per tre biglietti da mille, e guadagnare facile! Ma ricorda, non dar via la briglia per niente al mondo, toglila e tienila tu, altrimenti non mi rivedrai più!" 
Per due giorni madre e figlio guadagnarono assai bene, e alla fine
della giornata il figlio ritornava come se niente fosse. Ma il terzo giorno le venne incontro un mercante che lei non riconobbe. 
Quando la vecchia fa per togliere la briglia al bel morello, il
mercante dice: "Che fai nonna! Dove s'è mai visto vendere un cavallo
senza briglia! Basta ingannar la gente!". La buttò a terra, saltò in
groppa al cavallo e si fece riconoscere: era Oh. Frustò il cavallo e
sparì.
Per tre giorni e tre notti Oh cavalcò il suo stallone, lo picchiò e
speronò a sangue, galoppando senza sosta per monti e colline. Poi
arrivò a un'osteria, legò il cavallo mezzo morto allo steccato ed
entrò a bere e a gozzovigliare.
Proprio in quel momento passava una ragazza, e il cavallo le chiese di
torgliergli la briglia. Liberato che fu, galoppò in aperta campagna.
Oh si accorse della fuga, e si lanciò all'inseguimento.
Il cavallo sente che lo rincorrono, si gettò nell'umida terra, si
tramutò in un cane levriere e corse più presto di prima. Allora Oh si
tramutò in un lupo e via, dietro al cane! Per poco non lo raggiunge,
per poco non lo fa a pezzi! Il cane vede che ha la morte sul naso, si
getta contro l'umida terra, si tramuta in un orso e vuol strozzare il
lupo; il lupo indovinò e divenuto leone si lancia arditamente contro
l'orso. Ma quello era furbo, si gettò contro l'umida terra e un bianco
cigno volò nell'aria; e Oh dietro, tramutato in falco lucente.
A lungo volarono, e il falco stava per raggiungere il cigno, ecco che
lo colpisce! Il cigno vide in basso scorrere il fiume, si lanciò
dritto nell'acqua, si tramutò in una perca, drizzò le pinne. Allora il
falco divenne un luccio, non s'allontana dalla perca, le nuota dietro.
Nuota nuota, finalmente giunsero alla riva, e lì sulla sponda c'era
una principessa che lavava la biancheria. La perca salta fuori
dall'acqua e tramutatasi in anello d'oro rotolò ai suoi piedi. La
principessa raccolse l'anello e rimirandolo se l'infila al dito. Oh si
tramutò nuovamente in mercante, e le ordina di restituire l'anello,
come se fosse suo. Lei s'arrabbiò, si tolse l'anello e lo gettò a
terra. L'anello si frantumò in tanti grani di miglio, e un semino
capitò nella babbuccia della ragazza. Allora il mercante si tramutò in
un gallo, beccò il miglio, battè le ali e gridò: "Chicchirichì! Chi
volevo me lo son pappato!". Qui l'ultimo semino rotolò fuori della
babbuccia, cadde a terra e divenne un avvoltoio veloce. L'avvoltoio si gettò sul gallo, l'aggranfò con le sue unghie e cominciò a tirare e a strappare: si vedevano solo le penne volare!
"Non s'è mai visto che un gallo mangiasse un avvoltoio!" disse alla fine, e lo fece in due 
pezzi. Poi si gettò a terra e divenne un così bel giovane da non immaginare, nè indovinare, nè con la penna raccontare; e sposò la principessa. 
Alle nozze anch'io sono stato, birra e idromele ho bevuto, sulla barba
scivolò, nulla in bocca capitò. Della fiaba il fine si tocca, all'eroe
di sidro una brocca!


L'immagine di questo post è stata scannerizzata dal libro di mia proprietà "Il Tesoro di Masquerade" di Kit Williams, tradotto e reinventato per l'Italia da Joan Arold e Lilli Denon, Emme Edizioni; l'autore dell'illustrazione non è citato nel libro. 

2 commenti:

  1. questa storia è molto bella,e mi è stata molto utile per la mia ricerca,grazie mille

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  2. Sono felice che ti sia piaciuta! Auguri per la tua ricerca!

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